VOLEUSE

La contessa Jeanne de La Motte ritratta da Élisabeth Vigée Le Brun nel 1780 circa

 


Marchiata a fuoco con la lettera V di voleuse. Questo il tragico destino di Jeanne Valois.

Ho provato a raccontare questo episodio, dal suo punto di vista.






Ho paura.

Non voglio.

Ma fuggire mi è impossibile.

Mi trattengono, mi divincolo, strepito, urlo.

E’ inutile, sono troppo forti.

Scalpito, scalcio, devo liberarmi.

Un istante, un folle attimo, e una delle guardie esita, la presa sul braccio si fa dolce.

Ed è lì che azzardo. Un morso, feroce, traditore.

Lui urla.

Devo fuggire, in un battito di ciglia.

Ma, svelto, un altro mi trattiene.

Sono tanti, troppi, e io sola, inerme.

La folla grida, incita, impazzita come la mia carne che trema dinanzi al ferro rovente.

Scalcio, non cedo.

Una guardia mi tira i capelli, come l’ultima dei dannati.

Urlo, piango, gemo.

Invano.

Mi trascinano sul palco, spettrale protagonista di uno spettacolo osceno.

Battono le mani, ridono, l’odore della mia paura li eccita.

Ed eccolo, il fuoco maledetto, rosso come il sangue che, a breve, da questa pelle nivea colerà.

Mi sorride, il boia.

“Sta ferma.” – intima con voce di ghiaccio, il fuoco tra le dita.

Non posso.

“Quando sarà punita la vera colpevole?” – urlo, con l’ultimo brandello di voce.

Ridono, mi ignorano.

Gemo, piango, imploro.

Ma in tre mi costringono alla resa.

Mi dibatto, ma sono perduta.

Ed eccolo, l’assassino, calare il dardo infuocato su questo corpo innocente.

È lava incandescente, è dolore cocente.

Cesso di lottare, la tragedia è compiuta.

Una lacrima riga una guancia, un’occhiata al cielo, breve, fugace.

Lo sguardo si chiude, i sensi perduti.

È fatta, indietro non tornerò.

V come vendetta, quella che giurerò.

V come vittoria, tutto quel che bramavo.

V come voleuse, il marchio che in eterno serberò.


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