IL VOLO DEL GABBIANO
Sei lontano, non riesco a vederti, impossibile seguirti nel tuo volo libero.
Impossibile per chi, agganciato alla terra, non ha ali, se non quelle della mente, per provare a librarsi in alto, come te.
È tutto ciò che ci resta, tutto ciò che dà un senso a questo battere costante.
Tum-tum-tum.
Un battito vuoto, se non lo si riempie di sogni.
Un martellare inutile, se non lo si riempie d’amore.
Aria.
Vento.
Luce.
Libertà.
Paradossi di questa vita infernale, che tu non puoi conoscere, amico dalle ali grandi, che solo sai del suono del vento, del richiamo del blu e dell’infinito.
Mi appoggio alla ringhiera, la pelle sferzata dal vento freddo, le onde si infrangono sotto i miei occhi, l’aria salmastra penetra i polmoni, forte, inebriante, potente. Li disinfetta, troppo a lungo hanno respirato smog, grigiore, squallore.
Mi perdo, osservo, estasiata, dolorosamente consapevole che lascerò presto questo luogo, che lascerò te, piccola stella dalle piume di velluto, inconsapevole creatura felice.
Ma tu, ignaro, continui a volare, perduto, libero, possente nella tua fragilità.
Ti seguo, scatto una foto, e ti inseguo ancora e ancora, fino a quando non scompari all’orizzonte e ti fai troppo piccolo perché io possa ancora distinguere il tuo corpo scattante.
Lasci un vuoto, qui, tra le onde di marea, dentro un cuore sanguinante, afflitto, dolorosamente aperto.
Neanche il tempo di un addio, nemmeno un bacio portato dal vento.
Niente.
Perché sei libero.
Libero.
E la libertà non chiede, non implora, non pretende.
La libertà sceglie, la libertà decide.
La libertà non teme la solitudine.
Sei sacro e prezioso, amico piumato.
Non saprai mai quanto, mentre te ne vai, lasciandomi qui, con il vento tra le dita congelate, gli occhi umidi e la dolce sensazione che non è un addio, perché ci rivedremo.
So che mi aspetterai.
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