I TERAPISTI


                                       Illustrazione di Sonia Ruffino (Firefly)



Questa poesia nasce da un’esperienza personale.

I primi due anni di scuola primaria per mio figlio, e per me, sono stati decisamente difficili, non certo quello che mi aspettavo.

Le sue difficoltà nella scrittura, nella lettura, nell’apprendimento, sono state vissute dal corpo insegnanti come un problema, al punto da farlo diventare tale anche per noi.

Colloqui a non finire, pressione continua nel sottolineare come il suo andamento scolastico non fosse in linea con quanto ci si aspettava: scrittura illeggibile, lettura lenta e problematica, problemi di spazialità.

Ansia costante per chi come me, dall’altra parte, faceva di tutto per aiutarlo, ma con scarso successo. Qualunque sforzo facessi, tutto sembrava inutile. Lo stress raggiunto era ai massimi livelli, non solo per me, ma anche e soprattutto per lui.

Non ho mai rifiutato di “vedere” il problema, ma le pressioni psicologiche sono state enormi, e tralasciamo il fatto che tutto ciò si verificasse proprio in piena pandemia…

 

La fine del tunnel si è vista alla fine del secondo anno. Non dimenticherò mai quella sorta di “imbarazzo” sui volti delle maestre, durante il colloquio online. Proponevano, naturalmente solo come suggerimento, una valutazione di mio figlio eseguita da esperti in materia, per valutare l’eventuale necessità dell’inizio di una terapia adeguata. Ovviamente, la scelta spettava solo e soltanto a noi. Che ipocrisia! Era chiaro che i voti scadenti di mio figlio avevano molto a che fare con questa decisione. E infatti, a distanza di un anno, i suoi voti sono migliorati, e non certo per merito di una terapia che è ancora soltanto all’inizio!

 

Come fai a dire no? Come puoi sentirti a posto con te stessa se neghi l’opportunità di un aiuto ad un figlio in evidente difficoltà?

Lo ammetto, il mio sì è stato molto, molto difficile. Non è facile riconoscere un problema, ammettere di avere bisogno di aiuto. Forse ho commesso l’errore di pensare che mio figlio non necessitasse di alcun aiuto, se non quello di mamma e papà. Ma era evidente che non potevo nascondere la testa sotto la sabbia ancora per molto. Il terzo anno si avvicinava, e i problemi, con il solo aiuto di mamma e papà, erano tutt’altro che risolti.

Era arrivato il momento di dare una svolta ad una situazione stagnante e non più tollerabile.

 

 

Questo è stato l’inizio.

Siamo partiti con le sedute e gli incontri per la certificazione DSA, tutto privato, naturalmente, perché le liste di attesa sono infinite.

Diagnosi: disortografia, disprassia. Ad oggi, probabile discalculia, ancora da verificare.

 

Logopedista, psicomotricista. I terapisti protagonisti della poesia mia e di Riccardo, che non ringrazierò mai abbastanza per la leggerezza con cui si infila sempre tra le mie righe, dando costantemente un valore aggiunto ai miei componimenti. (come io spero di darne ai suoi)

 

Il viaggio è iniziato, e sarà lungo. Non sappiamo quanto. Sappiamo solo che la strada è in salita.

 

Attraverso questa piccola poesia mi pongo domande: ha davvero un senso tutto questo? Sono rimasta sorpresa nel constatare quanti bambini e ragazzi siano “in terapia”.

Davvero ne hanno tutti bisogno?

O, forse, la pressione esercitata dagli insegnanti ha un peso su questi numeri sconcertanti?

Ho quasi l’impressione che non ci sia più il desiderio di compiere quello sforzo in più, da parte degli insegnanti, di aiutare chi ne ha più bisogno, di andare oltre, di provare ad affrontare i problemi prima di costringere i genitori a rivolgersi “altrove”. Perché se è vero che, in alcuni casi, un aiuto professionale è necessario, è altrettanto vero che non sempre è così.

Non per tutti.

Eppure, i numeri sono altissimi.

 

Qualcosa non torna.

 

Un quesito che rimarrà irrisolto, ma un invito alla riflessione, per tutti, genitori di figli DSA, e non.







Dei terapisti qui voglio parlare
Tema scottante, ma lo voglio affrontare
Prestami ascolto, Bilbo prezioso
Alzati, dai, non fare l’ozioso.
 
Abulici sono i miei giorni tristi.
Non sento più bene: hai detto teppisti?
 
Psicologo, psichiatra, logopedista
Fanno tutt’uno, una roba mai vista
Professionisti logici e seri
Devi fidarti, non son giocolieri!
 
Palle e palloni ne ho pieni i marroni.
Ci vado domani: mi servon stregoni.
 
Analisi logiche, mille sedute
Ti tocca affrontare dopo mille cadute
E ti senti un po’ strano, diverso dagli altri
Son davvero più bravi, o solo più scaltri?
 
Della grammatica val più la pratica.
Sai che mi piaci? Ti sento acrobatica.  
 
Io qui son seduto e sto ad ascoltare
Giudizi severi, li devo accettare?
Io son quel che sono, che volete da me?
Son nato così, non son certo un Re!
 
Sesso cambiasti perché li ascoltasti?
Non accettare giudizi nefasti!
 
Ma il professionista logico e serio
Ha espresso il giudizio, che gran putiferio!
Nell’anima mia, pura e innocente
Quasi mi sento che non valgo niente!
 
La penna l'ha scritto, è pronto l'editto:
Dall'oggi al domani sei bello che fritto!
 
Lasciatemi andare, vorrei solo giocare
Lasciatemi essere, e più non pensare
Via quelle penne, e gli infami proclami
Son solo un bambino, che qualcuno mi ami!


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