FOSSETTA
Un fruscio sulle lenzuola stropicciate.
Chiara aprì gli occhi. Eros si era mosso e
la stava guardando.
“Da quanto tempo mi stai fissando?”
“Da un po’. Pensavo dormissi.”
“Non ho sonno.”
“Neanch’io.”
Quanto tempo era passato? Da quanto erano
in quella stanza d’albergo?
Chiara non lo ricordava più. Perdeva
sempre la cognizione del tempo quando era tra le sue braccia.
Ogni volta, l’unica e sola nota stonata,
era l’hotel.
Sapeva di squallido, sapeva di tradimento.
Beh, dopotutto, si trattava di questo. Non
erano, forse, amanti? E allora, quale posto migliore di una misera stanza di un
motel qualunque? Ogni volta diverso, per non farsi scoprire.
“Sei stanca?”
“No.”
Chiara si mosse, stringendosi a lui. Nudi,
sotto il lenzuolo immacolato impregnato dei loro odori, dei loro sudori.
Non le sfuggì lo sguardo che lui lanciò
all’orologio, fugace, ma non abbastanza per il suo occhio attento.
“Devi tornare da lei?”
“Non da lei.”
“No?”
Eros sospirò. “Lo sai che resterei qui per
sempre.”
“Già.”
I loro volti erano così vicini da
sfiorarsi. Eros sollevò una mano e delineò delicatamente, con un dito, il
contorno di quel volto che trovava perfetto.
Chiara rabbrividì. Era sempre questo
l’effetto del suo tocco. Sempre.
Avevano fatto l’amore per ore e ancora non
ne aveva abbastanza, ma quando gli prendevano quegli attimi di tenerezza,
Chiara avrebbe fatto qualunque cosa per trattenerlo.
Ogni volta le si spezzava il cuore,
eppure, ogni volta, quando lui la chiamava, tornava tra le sue braccia. Era
quello il suo posto. Il suo posto felice.
Avrebbe potuto avere qualunque altro uomo.
Un uomo libero, come lei. Vivere un amore alla luce del sole. Trovare la
felicità.
Ma Chiara sapeva che nessuno sarebbe stato
all’altezza di Eros. Il suo cuore, semplicemente, lo sapeva.
E così si accontentava degli hotel, perché
le emozioni che quelle ore le regalavano, ne era certa, non le avrebbe trovate
da nessun’altra parte.
Eros la baciò dolcemente e lei chiuse gli
occhi. Mancava poco alla separazione, e poi non sapeva quando l’avrebbe
rivisto.
Li riaprì e gli accarezzò dolcemente la
splendida fossetta che aveva sul mento.
Era cominciato tutto da lì. I primi tempi
lo chiamava così, “fossetta”, e lui arrossiva e sorrideva.
Era dannatamente bello, dannatamente
eccitante, dannatamente misterioso.
E dannatamente sposato.
Ma quando lo aveva scoperto, era già
troppo tardi. Innamorata persa, come lui, almeno così diceva.
Eros le sorrise. Lo faceva sempre, quando
gli toccava la fossetta.
“Ti amo.” – le disse.
“Da impazzire, amore mio.”
Lui sollevò leggermente la testa. “Lo so
che, di noi due, sono io quello in difetto. Uno stronzo egoista che tiene il
piede in due scarpe.”
Era la verità. Allora, perché non le
importava?
“Dovrei prendere una decisione.” –
continuò lui.
“Lasciare lei, oppure me.” – disse Chiara,
in tono piatto. “Ma non farai nessuna delle due cose.”
Eros si incupì, forse perché sapeva che
aveva ragione. Non aveva il coraggio di troncare un matrimonio che durava da 30
anni, un matrimonio morto e sepolto da tempo.
E non trovava nemmeno il coraggio di
lasciare Chiara, sapendo che meritava molto più di questo.
Chiara, semplicemente, era diventata il
suo respiro. Perderla, sarebbe equivalso a morire.
E forse non meritava che questo. Morire.
“Sto approfittando di te, del tuo amore.”
– le disse, angosciato.
“No.” – rispose lei, risoluta. “Potrei
rivestirmi, aprire quella porta e dirti addio per sempre. Ma non lo farò. Sai
che non lo farò.”
“Perché ti ho irretita.”
“Non trattarmi come se fossi una stupida
adolescente, Eros.” – sbottò, irritata.
Ma non ci fu nemmeno il tempo di
discutere, perché lui doveva tornare in ufficio.
Si rivestirono, con la morte nel cuore.
Eros l’abbracciò stretta, senza dire
nulla.
Lei lo lasciò fare.
Chiara risalì in macchina, gli occhi
celati dietro gli occhiali scuri.
Un’amante qualunque, come tante.
Attese che lui ripartisse, con la sua auto
sportiva. Il denaro non gli mancava, ma il denaro di Eros era l’ultima cosa di
cui le importava.
Solo il suo cuore contava, per lei. Il
cuore, che lui teneva ben celato agli occhi del mondo che lo circondava: il
mondo degli affari, il mondo della politica, il mondo delle pubbliche
relazioni.
Un mondo al quale lei non apparteneva.
Ma non importava, perché il cuore di Eros
era suo.
Solo e soltanto suo.
Aveva ancora del tempo libero. Passeggiò
per la città, il suo odore ancora addosso, sulla pelle, dentro l’anima.
Passò sopra un ponte e si sporse per
guardare sotto, verso il fiume.
Un pensiero improvviso si affacciò alla
mente. Sarebbe bastato un attimo. Solo un piccolo salto, e le acque l’avrebbero
inghiottita per sempre.
Cosa avrebbe provato, lui? Roso dal senso
di colpa per il resto dei suoi giorni?
Forse.
Ma Chiara non era tipo da suicidio.
Chiara lottava.
Chiara amava.
Chiara viveva ogni istante come se fosse
l’ultimo.
E avrebbe continuato a farlo, aspettando
la telefonata.
Una nuova camera d’albergo.
Una nuova avventura tra le lenzuola.
E amore, altro amore da donargli,
all’infinito.
Forse, sarebbe stata lei a dire basta, un
giorno.
Un giorno, ma non ora.
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